lunedì 11 giugno 2018

Oltre le azioni e le obbligazioni: gli Investimenti Alternativi



Più volte ho sottolineato l'importanza della diversificazione in un portafoglio d'investimento, ponendo particolare attenzione sulle diverse forme di Asset Class. Per quanto il tuo capitale possa essere esposto a titoli azionari di ottima qualità, durante un mercato ribassista non potrai evitare di soffrire delle perdite. Diversificare sulle obbligazioni costituisce una fonte di protezione, ma presenta alcuni problemi: in primo luogo i titoli di debito attualmente offrono rendimenti poco soddisfacenti e secondariamente ci si può trovare in una situazione, come quella attuale di rialzo dei tassi d'interesse, in cui anche le prospettive dell'obbligazionario tendono al ribasso. Una strategia di diversificazione efficace deve basarsi sul principio della bassa correlazione; ciò comporta la necessità di distribuire il proprio capitale investito su molteplici Asset Class le cui caratteristiche di rischio, performance e rendimento non siano correlate o, meglio, siano correlate negativamente. L'idea di fondo consiste nel compensare il potenziale ribasso di una Asset Class con il rialzo o lo stazionamento dello strumento finanziario contrapposto, evitando di esporre l'intero capitale ad un'unica fonte di performance. Come abbiamo detto, lo strumento di diversificazione più classico coincide con le obbligazioni. E' tuttavia necessario considerare che i rendimenti deludenti da esse ricavabili stanno spingendo gli investitori verso i cosiddetti Investimenti Alternativi. Tra quest'ultimi possiamo individuare i seguenti: Hedge Fund, fondi di Private Equity, fondi di Venture Capital, Immobiliare diretto, Private Debt. Il problema sta nell'accessibilità finanziaria dei suddetti Asset, le cui quote di partecipazione proprietaria possono anche richiedere investimenti milionari. Tuttavia, la crescente domanda di democratizzazione delle soluzioni d'investimento, sostenuta dalle scarse prospettive dell'obbligazionario, sta contribuendo allo sviluppo di Asset Class completamente nuove e facilmente accessibili a chiunque. In questo articolo vedremo di affrontarne una descrizione adeguatamente approfondita, in modo da acquisire le competenze necessarie alla costruzione di un portafoglio d'investimento estremamente ben diversificato e costituito da una moltitudine di Asset Class tra loro non correlate.

I classici Hedge Fund sono fondi d'investimento privati che hanno l'obbiettivo di produrre rendimenti costanti nel tempo, con una bassa correlazione rispetto ai mercati di riferimento, tramite investimenti singolarmente ad alto rischio finanziario. Essi si caratterizzano per l'utilizzo di tecniche e strumenti di gestione avanzati spesso non adottabili dai classici fondi comuni: vendita alla scoperto, strumenti derivati come opzioni e futures, hedging, leva finanziaria. Negli ultimi anni sono sorti una moltitudine di prodotti d'investimento con l'obbiettivo di replicare le performance degli Hedge Fund senza richiedere investimenti iniziali eccessivamente onerosi; tra questi voglio ricordare Copy Trading e Copy Fund, ETF alternativi. Il Copy Trading consiste nella possibilità, offerta da alcune piattaforme d'investimento come EToro, di replicare in modo automatico le operazioni finanziarie e dunque le performance di un Trader o operatore finanziario particolarmente esperto. Il Copy Fund, che penso rappresenti la soluzione migliore, è invece un fondo d'investimento che consente di replicare le performance di molti Trader esperti scelti in base a precise caratteristiche di profilazione. Gli ETF alternativi sono quegli Exchange Traded Fund capaci di riprodurre l'andamento di un indice di riferimento associato agli Investimenti Alternativi. Nei mercati europei è difficile trovare questo tipo di ETF, ma sul mercato statunitense è possibile individuarne alcuni indicizzati agli Hedge Fund:
  1. IQ Hedge Multi-Strategy Tracker ETF
  2. Reality Shares DIVS ETF
  3. ProSHares Hedge Replication
  4. IQ Merger Arbitrage ETF
  5. JP Morgan Event Driven ETF
  6. Cambria Value and Momentum ETF

L'investimento immobiliare è un'altro tipo di Asset Class potenzialmente capace di offrire rendimenti interessanti e poco correlati con i classici mercati finanziari. Dobbiamo però considerare tre fattori: le difficoltà burocratiche e gestionali, la necessità di un capitale relativamente elevato, una limitata possibilità di diversificazione. Possiamo dunque individuare alcune alternative particolarmente interessanti:
  1. Real Estate Investment Trust (REIT)
  2. Sub-locazioni
  3. Real Estate Crowdfunding
I REIT sono aziende quotate in borsa la cui unica attività consiste nella compravendita di beni immobili. Essi si caratterizzano per i dividendi particolarmente alti (3-6% annuo) e per la bassa correlazione con i gli altri titoli azionari. Il modo più efficiente per investire in REIT mantenendo un alto grado di diversificazione è attraverso gli Exchange Traded Fund. Quello che ritengo più vantaggioso è il seguente: Amundi Index FTSE EPRA NAREIT Global Uscits ETF dr (c). La diversificazione è globale, la commissione annua di gestione è molto bassa, i dividendi vengono interamente reinvestiti in modo da garantire il più alto livello di efficienza fiscale.
La sub-locazione è più difficile da attuare, ma se ben fatta può garantire profitti importanti senza esborsi di capitale; essa consiste nel prendere in affitto un immobile ad un prezzo X per poi riaffittarlo a terze parti ad un prezzo Y più alto di X. La differenza tra Y ed X costituisce il nostro guadagno. Da un punto di vista legale è necessario che la possibilità di sub-locazione sia specificata nel contratto.
Il Real Estate Crowdfunding o Crowdfunding Immobiliare è lo strumento alternativo di investimento immobiliare che ritengo attualmente più interessante. Le piattaforme digitali assimilabili a questo servizio consentono agli investitori di acquistare quote di partecipazione proprietaria in progetti immobiliari, senza l'onere (finanziario ed amministrativo) di dover comprare e gestire un intero immobile. Housers e Walliance sono i due servizi di maggior qualità attualmente disponibili e consentono di creare un portafoglio ben diversificato di immobili da cui ricavare rendite da affitto, rivalutazione e rivendita. In base al grado di rischio accettato è possibile ottenere rendimenti fino al 15% annuo.

Un altro investimento alternativo dotato di prospettive e potenzialità particolarmente interessanti è il Peer To Peer Lending, una forma di crowdfunding/crowdinvesting che consente di effettuare prestiti tra privati. Attraverso le apposite piattaforme digitali è possibile finanziare centinaia di prestiti, ricavando interessi sostanziosi. In base al grado di rischio accettato è possibile ottenere rendimenti che oscillano dal 4% al 18% annuo. I servizi che ritengo di maggior qualità sono Mintos, Twino, Bondora. Ne esistono molti altri, ciascuno dotato di caratteristiche a se stanti.
Una forma di P2P Lending è l'Invoice Trading, consistente nell'anticipo fatture attraverso il web.

Il Crowdfunding Immobiliare precedentemente menzionato è una forma particolare di Equity Crowdfunding. Quest'ultimo consiste nella possibilità di acquistare, anche in questo caso attraverso apposite piattaforme digitali, quote di partecipazione proprietaria in Start Up e PMI. I profitti sono potenzialmente altissimi, ma è anche necessario considerare l'alto livello di rischio legato alla fallibilità delle aziende, soprattutto nel caso delle Start Up. E' sempre necessario concentrarsi sulle opportunità di maggior qualità, mantenendo un adeguato grado di diversificazione. L'Equity Crowdfunding può essere assimilato al Private Equity ed al Venture Capital.

Anche le Criptovalute possono essere assimilate ad una nuova Asset Class. Tuttavia, l'eccessiva volatilità e rischiosità del suddetto strumento può renderlo un investimento poco incline a costituire una fetta più o meno consistente di un portafoglio diversificato. Un'alternativa può essere identificata nel Mining di Criptovalute, consistente nell'estrazione di Bitcoin o Altcoin dalla rete; se il costo della minatura è inferiore al valore dei token ricavati, avremo un profitto. Per evitare di doversi impegnare nell'acquisto, installazione e manutenzione di un impianto di estrazione, una delle soluzioni migliori è il cosiddetto Cloud Mining, oppure l'Housing. Con l'utilizzo di appropriati strumenti derivati (vendita allo scoperto, futures, opzioni) è anche possibile eliminare il rischio valutario.

Altri Investimenti Alternativi sono i seguenti:
  1. Materie Prime; la ripresa dell'economia potrebbe avere effetti benefici sul rialzo dei prezzi.
  2. Energie Rinnovabili; costruire il proprio impianto di produzione di energia, che sia solare oppure eolico, rappresenta un'ottima fonte di reddito non correlato. I rendimenti possono arrivare al 30% annuo.
  3. Opere d'Arte; l'aumento di valore dei beni artistici può determinare profitti interessanti. Tuttavia, il piccolo investitore dovrebbe evitare questo tipo di Asset.

Attualmente, anche considerate le prospettive dei classici strumenti finanziari, ho deciso di destinare il 30% del mio portafoglio agli Investimenti Alternativi. Il capitale ad essi riservato è equamente distribuito sui tre Asset che considero di maggior interesse: Peer to Peer Lending, Real Estate Crowdfunding, Mining con misure di copertura valutaria. Detengo anche un ETF indicizzato ai REIT.

In un prossimo articolo analizzerò alcuni tipi di strumenti obbligazionari che possono essere considerati alternativi rispetto a quelli più classici.

giovedì 31 maggio 2018

La strategia dell'Investitore Intelligente



Più volte ho esposto gli elementi che devono caratterizzare una strategia d'investimento profittevole sul lungo periodo in campo azionario, affermando la necessità di concentrare la propria attenzione sui valori fondamentali, ovvero quelli legati alle reali caratteristiche e condizioni economiche delle aziende quotate. L'unico fattore che ci induce ad attuare questo tipo di lavoro analitico consiste nella prospettiva di riuscire ad overperformare il mercato nel suo complesso, consapevoli della differenza che anche pochi punti percentuali di profitto in più (o pochi punti percentuali di perdita in meno) possono determinare nei profitti finali. Se non fossimo interessati al raggiungimento di questo obbiettivo, sarebbe sufficiente investire in fondi o ETF indicizzati all'intero mercato azionario; ma se la nostra preferenza tende al rendimento assoluto piuttosto di quello relativo, la produzione di profitti  overperformanti deve per forza passare dall'attuazione di una strategia d'investimento superiore, che, nel nostro caso, coincide con il Value Investing e le sue derivazioni. Nelle prossime righe intendo sintetizzare in maniera completa ed esaustiva le caratteristiche del mio metodo di selezione dei titoli azionari e di gestione del portafoglio globale. Esso affonda le sue radici sia nelle strategie di analisi fondamentale precedentemente citate e sia nelle strategie applicate dai più prominenti guru della finanza internazionale; il risultato coincide con un approccio all'investimento azionario assimilabile a quello attualmente più adoperato nel panorama delle società d'investimento private. Per quanto l'Italia possa trovarsi in una posizione di arretratezza in questo ambito, nulla ci vieta di contribuire alla diffusione dei metodi d'investimento più moderni e progrediti anche nel nostro paese; la globalizzazione della Cultura Finanziaria è uno dei trend più forti attualmente in atto a livello mondiale.

Partiamo dal presupposto che la chiave per generare ricchezza si fonda sulla nostra capacità di costruire una serie di "rendite finanziarie" o "entrate automatiche" che, attraverso la forza dell'interesse composto (ovvero il reinvestimento dei profitti che aggiungendosi al capitale che li ha generati contribuiscono ad una crescita esponenziale dello stesso), sul lungo periodo producono risultati eccezionali. L'investimento in titoli azionari costituisce una delle tante forme di rendita automatica ed in quanto tale deve essere integrato in un portafoglio più ampio; tuttavia, la maggiore attrattività delle azioni rispetto ad altri strumenti è dovuta al fatto che esse hanno storicamente fornito i risultati migliori sul lungo periodo. Pertanto in questo articolo ci concentreremo proprio sui titoli azionari. Vediamo i pilastri della strategia di sui stavamo parlando poche righe fa:
  1. Selezione dei titoli
  2. Ingresso sul mercato
  3. Gestione del portafoglio e del rischio

Partiamo dalla selezione dei titoli ed imponiamo un presupposto: quando compriamo azioni di un'azienda quotata in borsa è necessario valutare l'azienda in cui stai per investire esattamente come valuteresti un qualsiasi altro investimento in una qualsiasi altra attività imprenditoriale privata. Ciò comporta la necessità di concentrare la propria attenzione sui valori fondamentali e dunque sulle reali condizioni e caratteristiche economiche del business. Detto ciò, il nostro imperativo è quello di acquistare business eccellenti e di alta qualità ad un prezzo basso ed economicamente vantaggioso. Forti di questa convinzione, possiamo suddividere il metodo di selezione dei titoli azionari in due fasi distinte; nella prima ci occuperemo di valutare l'azienda da un punto di vista qualitativo e senza badare al prezzo d'acquisto, con l'obbiettivo di individuare le aziende che possiedono le maggiori potenzialità di generare ricchezza per i propri azionisti in termini di economia reale. Nella seconda fase ci occuperemo di valutare il prezzo delle aziende che hanno superato la prima analisi, determinando a quale livello l'acquisto sarebbe vantaggioso e posizionandoci sul mercato solo quando la quotazione raggiunge il livello prestabilito. Ma a quali criteri dobbiamo attenerci nell'attuazione della prima fase? In altre parole, quali elementi influenzano positivamente la capacità di un'azienda di generare valore per i propri azionisti? Vediamoli brevemente.

In primo luogo l'azienda deve essere affermata e dotata di vantaggi competitivi durevoli. Quest'ultimi fungono da "barriere all'ingresso" che bloccano e scoraggiano la concorrenza, consentendo al business che ne è dotato di operare su un livello di redditività superiore. Pertanto gli effetti della presenza di vantaggi competitivi sono visibili negli indici di redditività dei rendiconti finanziari, che vedremo tra poco in modo più particolareggiato. Dobbiamo poi concentrarci sull'utile per azione (EPS), il cui andamento è il fattore che più influenza la variazione della quotazione sul lungo periodo. Se l'eps è stabile la volatilità del titolo sarà altrettanto limitata; se è in crescita, lo stesso farà il prezzo dell'azione. Pertanto, un utile per azione in crescita rappresenta la prima (ed unica sul lungo periodo) fonte di Capital Gain. Un trend di crescita dell'eps stabile e costante sul lungo periodo (10 anni nel passato) è ciò che cerchiamo, in quanto un'azienda che ha storicamente dimostrato di saper generare crescita continuerà a farlo finché c'è ne saranno le possibilità; le stime di crescita futura effettuate dagli analisti costituiscono un altro elemento fondamentale. E' importante considerare che la nostra preferenza si deve concentrare sulla stabilità e sulla costanza della crescita, e non solo sull'altezza dei tassi annui; una crescita troppo sostenuta e/o volatile non dura per molto. Valori compresi tra il 7 ed il 15% annuo di apprezzamento dell'utile per azione sono sufficienti; essi si rifletteranno nell'aumento della quotazione. Affidarci a business dotati di tassi di crescita superiori (20-25%) può consentirci di ottenere dei rendimenti potenzialmente più alti, ma solo se abbiamo ragionevoli certezze riguardo la stabilità e sostenibilità dei risultati aziendali. Titoli che mostrano tassi di crescita inferiori o addirittura nulli possono caratterizzare degli investimenti potenzialmente interessanti in termini di rendimento dei dividendi o di sottovalutazione del titolo, ma anche in questo caso dobbiamo assicurarci della capacità del business di mantenere stabili i propri risultati fondamentali sul lungo periodo. Successivamente, gli indici di redditività che influenzano positivamente l'outlook di un business sono i seguenti: margine di profitto netto, ROE, ROI. Cerchiamo valori superiori alla media e alla concorrenza, storicamente costanti e stabili. Per quanto riguarda la salute finanziaria, è importante restringere il nostro campo di azione esclusivamente sulle aziende che manifestano un debito a lungo termine basso e sostenibile, preferibilmente accompagnato da un alto livello di liquidità netta. I business ad alta redditività sui quali intendiamo concentrarci sono caratterizzati da un alto livello di Free Cash Flow (FCF), una stima del reale flusso di cassa effettivamente disponibile all'azienda ogni anno. Esso può essere reinvestito, contribuendo alla crescita del futuro utile per azione, oppure distribuito agli azionisti sotto forma di dividendi. Un FCF superiore alla media comporta, per essere ottenuto, non solo la presenza di vantaggi competitivi e di indici di redditività più alti della norma, ma anche di basse spese in conto capitale, in quanto quest'ultime sono incapaci di generare valore aggiunto.
La fase di valutazione del prezzo prevede di utilizzare i criteri tipici del Value Investing, che possono essere di due tipi: 1) i rapporti che mettono in relazione i fondamentali con il valore di mercato e 2) i metodi di calcolo del valore intrinseco. Tra i primi è necessario sottolineare il Prezzo/Utili ed il PEG, per i quali ricerchiamo dei valori temporaneamente scontati rispetto alla media storica. Anche un alto rendimento dei dividendi (3-5%), comunque accompagnato da un payout ratio sostenibile (50-60%), ci offre dei segnali interessanti. I metodi di calcolo del valore intrinseco comprendono l'Earnings Power Value, il Discounted Cash Flow e le sue varianti, il Valore della Crescita. E' necessario posizionarci solo quando il margine di sicurezza, ovvero lo sconto del prezzo d'acquisto rispetto al valore intrinseco, è pari ad almeno il 20-25%.


Passiamo ora al secondo pilastro della strategia, ovvero quello riguardante le modalità di ingresso sul mercato. Come abbiamo già affermato, l'acquisto dei titoli deve avvenire esclusivamente quando la quotazione raggiunge un adeguato livello di sottovalutazione. Per fare ciò, l'investitore intelligente deve avvantaggiarsi delle fluttuazioni del mercato e considerare i ribassi delle quotazioni come un'occasione per acquistare business di qualità a prezzi scontati. Una discesa dei corsi azionari può essere causata da un crollo o rintracciamento generalizzato dell'intero mercato oppure da un declino nell'andamento del singolo titolo oggetto d'investimento. Quest'ultima modalità può verificarsi in seguito ad un evento negativo che colpisce l'azienda; se appuriamo che sul lungo periodo l'avvenimento non causerà danni reali ai fondamentali del business, un declino della quotazione potrebbe essere del tutto ingiustificato, offrendo agli investitori un'opportunità d'acquisto vantaggiosa. In ogni caso, considerando l'orizzonte temporale di lungo periodo, il timing di mercato è privo d'importanza. La nostra unica prerogativa consiste nell'assicurarci di pagare un prezzo adeguatamente vantaggioso; non è per forza necessario attendere un ribasso delle quotazioni. Un approccio alternativo all'ingresso sul mercato consiste nell'investire ad intervalli di tempo regolari una cifra prestabilita, senza preoccuparci di entrare nel momento giusto o sbagliato.


La gestione del portafoglio e del rischio passa per alcuni concetti fondamentali:
  1. Detenzione di un portafoglio concentrato, ossia limitato solo ai pochi titoli (min 10 - max 20/25) in cui riponiamo la massima fiducia e che possiamo tenere sotto controllo con facilità.
  2. Diversificazione geografica e di settore. Mai esporre l'intero portafoglio solo a pochi mercati.
  3. Imporre dei limiti alla percentuale di portafoglio destinabile ad un singolo titolo.
  4. Ottenere conferma delle proprie opinioni da parte di soggetti credibili, quali Insider Buyer o investitori altamente rispettati.
  5. Applicazione del Dollar Cost Averaging, metodo consistente nell'investire una somma prestabilita ad intervalli di tempo regolari o diluire l''ingresso sul mercato su un periodo temporale più lungo.
  6. Avere certezze riguardo la qualità delle aziende oggetto d'investimento e sulla detenzione di un adeguato margine di sicurezza. Poi attendere il lungo periodo, in modo che il tempo elimini l'impatto della componente speculativa sul rendimento.
  7. Diversificazione delle Asset Class. Non investire l'intero portafoglio solo nel mercato azionario. Investi in strumenti diversificati le cui quotazioni siano caratterizzate da una correlazione bassa o negativa. Adegua la percentuale di portafoglio destinabile all'azionario sulla base del livello di sottovalutazione o sopravvalutazione dell'intero mercato.

Se vuoi consultarti con me o hai qualcosa da chiedermi scrivimi un messaggio attraverso il modulo di contatto posizionato nella colonna sinistra del sito.

sabato 19 maggio 2018

Il capitolo 8 di The Intelligent Investor: sfruttare le fluttuazioni di breve periodo per guadagnare sul lungo periodo

      
Dal momento che tutti i titoli azionari sono soggetti ad ampie e ricorrenti fluttuazioni, l'investitore intelligente dovrebbe essere interessato alla possibilità di guadagnare avvantaggiandosi di queste fluttuazioni. Ci sono principalmente due modi per fare ciò: (1) il Timing e (2) il Pricing.
Con timing si intente il tentativo di anticipare il futuro andamento del mercato, per comprare quando si ci aspetta che andrà al rialzo e vendere quando ci si aspetta che andrà al ribasso.
Con pricing si intende il tentativo di acquistare le azioni quando esse sono sono quotate al di sotto del loro valore pieno (cioè quando il titolo è sottovalutato rispetto al "Fair Value" o "Valore intrinseco"), e di vendere quando salgono oltre questo valore (cioè quando il titolo diviene sopravvalutato rispetto al Fair Value o Valore Intrinseco).
Secondo Graham il timing è impossibile da attuare, poiché è impossibile prevedere il futuro andamento del mercato. L'unico modo con cui si possono sfruttare le fluttuazioni del mercato è attraverso il pricing.
Il miglior modo per affrontare le fluttuazioni del mercato è utilizzare nel proprio portafoglio d'investimento una proporzione bilanciata tra titoli azionari e titoli obbligazionari; l'obbiettivo di questo approccio è ridurre il rischio totale investendo più denaro in obbligazioni quando il mercato azionario è sopravvalutato, e più denaro nel mercato azionario quando quest'ultimo è sottovalutato.
Per esempio, in una situazione in cui il mercato azionario è abbastanza sottovalutato, un buon bilanciamento può prevedere di investire il 75% del portafoglio in azioni ed il 25% in obbligazioni; in una situazione in cui il mercato azionario è molto sopravvalutato, per proteggerci dal rischio possiamo investire il 75% del portafoglio in obbligazioni e solo il 25% in azioni; e una via di mezzo può prevedere un bilanciamento in parti uguali tra azioni e obbligazioni, ovvero 50 e 50. L'obbiettivo è bilanciare il portafoglio in base ai livelli del mercato azionario.

Un investitore intelligente deve valutare il suo investimento basandosi sulle performance fondamentali dell'azienda, proprio come se stesse investendo in un'attività privata non quotata. Se ti propongono di acquistare un bar cosa guardi per primo? Ovviamente il fatturato, l'utile, la redditività, la posizione competitiva, le prospettive future. La stessa cosa vale per le aziende quotate in borsa.

Maggiore è il rapporto tra prezzo e Book Value (Price/Book o P/B), minore è la certezza con cui possiamo determinare il valore intrinseco dell'investimento. Per questo motivo è molto importante fare attenzione a questo valore.
Un paradosso molto importante da considerare è che maggiore è la qualità del titolo azionario (e dell'azienda corrispondente al titolo), più speculativo esso tende ad essere (almeno rispetto alle aziende di media qualità). Ciò accade perché gli speculatori sono maggiormente attratti dalle aziende più popolari e di qualità. Questa componente speculativa che caratterizza i titoli di alta qualità si materializza nel prezzo, il quale appare molto alto e sopravvalutato rispetto alla norma (alto Price/Book e alto Price/Earnings). Il suggerimento è quello di concentrarsi solo su azioni il cui rapporto Price/Book non sia superiore a 2 (ciò significa che il prezzo d'acquisto non deve essere superiore a due volte il valore per azione degli asset tangibili netti).
I titoli scambiati a prezzi molto alti e sopravvalutati, corrispondenti ad aziende per le quali ci sono grandi aspettative future, hanno un problema degno di considerazione: maggiore è il futuro tasso di crescita previsto, e maggiore è il periodo di tempo per il quale ci si aspetta che tale tasso previsto sia mantenuto, più ampio è il margine di errore.
Ciò che bisogna cercare è:
1) Un basso Price/Book (rapporto tra prezzo e asset tangibili netti; ad esempio un P/B pari a 3, indica che il prezzo di un'azione è pari a tre volte il valore per azione degli asset tangibile netti).
2) Un basso Price/Earnings (rapporto tra prezzo e utile per azione; ad esempio un P/E pari a 15 indica che il prezzo di un'azione è pari a 15 volte l'utile per azione).
3) Una forte condizione finanziaria.
4) La prospettiva che gli utili attuali saranno mantenuti in futuro.

Il quarto punto merita un approfondimento. E' estremamente importante considerare che l'andamento della quotazione segue l'andamento dell'utile per azione; pertanto una crescita dell'utile per azione sul lungo periodo determina una crescita della quotazione, così come un declino dell'utile per azione determina (almeno in linea di massima) un declino della quotazione. Da ciò ne consegue che un utile per azione stabile è necessario per mantenere stabile anche la quotazione. L'obbiettivo che ci poniamo affidandoci al quarto punto della lista sopra riportata è quello di investire in un'azienda con guadagni molto stabili, il cui utile per azione tra molti anni sarà uguale o  meglio superiore a quello attuale. Ciò significa che anche il Fair Value (valore pieno, congruo, il quale è strettamente collegato ai profitti aziendali) sarà stabile, e la quotazione (per quanto può oscillare ampiamente) tenderà sempre a tornare verso tale Fair Value (il quale rimarrà sempre stabile e costante di conseguenza alla stabilità e costanza mantenuta dall'utile per azione). Tutto ciò che dobbiamo fare è posizionarci quando la quotazione è molto sottovalutata rispetto al Fair Value, e prima poi il titolo tenderà a risalire verso tale Fair Value. In queste situazioni è utile ricordare una citazione di Jhon C. Bogle: "La regola di ferro dei mercati finanziari è il ritorno alla media".
Quello sopra riportato è un esempio molto semplificato, ma da un'idea dell'approccio che bisogna avere.

Una metafora molto utile per comprendere quale deve essere l'atteggiamento dell'investitore è quella di Mr Market:
"Immaginiamo che i prezzi di mercato provengano da un tipo molto accomodante, di nome mr. Market, che si trova ad essere il vostro socio in un'attività non quotata. Giorno dopo giorno, senza mai venir meno alla sua abitudine, mr. Market si presenta da voi fissando un prezzo a cui è disposto a rilevare la vostra quota oppure a vendervi la sua. Anche se l'affare di cui voi due siete proprietari potrà avere caratteristiche economiche stabili, le quotazioni di mr. Market stabili non lo saranno affatto. Triste a dirsi, infatti, il vostro povero socio soffre di incurabili problemi psicologici. A volte si sente euforico e riesce a vedere solo i fattori favorevoli che influenzano la vostra attività. Quando è in quello stato, il prezzo che offre è molto alto perché teme che voi gli strapperete la sua quota, derubandolo di guadagni imminenti. Altre volte è depresso e guardando nel futuro riesce a vedere solo guai per il vostro affare e per il mondo. In questi momenti fisserà dei prezzi molto bassi, terrorizzato dall'idea che voi siate sul punto di rifilargli la vostra quota. Mr. Market ha un'altra gradevole caratteristica: non se la prende se viene ignorato. Se la sua quotazione di oggi non è di vostro interesse, domani ve ne proporrà comunque una nuova. Ogni transazione è a vostra discrezione. Ed è chiaro che, a queste condizioni, quanto più il suo comportamento è maniaco-depressivo, tanto meglio è per voi."

Un investitore intelligente usa le fluttuazione del mercato a proprio vantaggio; è utile considerare i ribassi del mercato come un'opportunità per acquistare titoli di qualità a prezzi molto bassi e scontati, tenendo a mente che il prezzo che paghi determina il tuo rendimento (più basso è il prezzo di acquisto, maggiore è il tuo rendimento).
Chiunque può constatare che per quanto il mercato azionario sia ampiamente volatile, le caratteristiche economiche fondamentali delle aziende quotate sono ovviamente molto stabili; ciò significa che spesso i prezzi di mercato non riflettono il reale valore delle aziende. Di conseguenza, un mercato ampiamente fluttuante implica che dei prezzi irrazionalmente bassi possono periodicamente essere allegati a solide aziende.

E' necessario introdurre un'importante distinzione tra speculatore e investitore; lo speculatore è primariamente interessato nell'anticipare le fluttuazioni del mercato e guadagnare da esse. L'investitore è primariamente interessato ad acquisire aziende di buona qualità a prezzi molto convenienti e tenerle in portafoglio per un lungo periodo di tempo.

mercoledì 9 maggio 2018

Le 4 regole per guadagnare con i dividendi



Molte persone investono in azioni di aziende che pagano sostanziosi dividendi con l'obbiettivo di ottenere un rendimento costante, fisso e regolare, e avere l'opportunità di reinvestire gli utili ottenuti. La maggior parte degli investitori orientati sui dividendi si concentra puramente sull'acquisto di titoli che pagano alte cedole fisse; tuttavia i guadagni più grandi si possono ottenere da azioni di aziende che nel corso del tempo, anno dopo anno, aumentano l'entità dei dividendi. Immaginiamo un'azienda X acquistabile a 100$ per azione che al momento dell'acquisto paga una cedola annua di 5$ (corrispondenti al 5% dell'investimento iniziale). Per 10 anni consecutivi l'azienda X accresce il dividendo ad un tasso del 20% annuo: al decimo anno il dividendo sarà pari a 31 dollari per azione, ovvero ben il 31% dell'investimento iniziale. Insomma, possiamo ritrovarci con un dividendo che cresce di anno in anno, e se il primo anno ottengo un dividendo pari al 3% del capitale investito, l'anno successivo posso ottenere il 4% o più, con un dividendo che si espande in modo costante.
In questo articolo voglio proporre una serie di regole al quale ogni investitore orientato ai dividendi dovrebbe attenersi.

1) Qualità;
Un dividendo molto alto può essere attraente, ma non è l'unica cosa che bisogna considerare. Un investitore di lungo periodo deve assicurarsi che l'azienda sia in grado di mantenere l'entità del dividendo; in altre parole il dividendo deve essere sostenibile. L'azienda deve essere ben consolidata, affermata, finanziariamente stabile e matura. Per un cassettista è spesso necessario selezionare investimenti che offrono più stabilità, anche a costo di dover sacrificare un maggior guadagno a breve termine. Un valore a cui ogni investitore dovrebbe fare attenzione è il Pay-out Ratio, che è il rapporto tra dividendi distribuiti e utile netto totale (un pay-out ratio del 60% indica che l'azienda in questione distribuisce il 60% dei propri utili come dividendi). Un pay-out ratio eccessivamente alto può non essere sostenibile sul lungo periodo, in quanto basta una piccola riduzione dell'utile netto totale per determinare una riduzione del dividendo; insomma alla prima crisi o recessione, o per qualsiasi altro problema che può ragionevolmente presentarsi, l'investitore vedrà ridursi la propria cedola.
I titoli con alti dividendi e bassi pay-out ratio hanno overperformato quelle con alti dividendi e alti pay-out ratio dell' 8,2% annuo dal 1990 al 2006.
Nel grafico sottostante possiamo vedere come le aziende che pagano alti dividendi e al tempo stesso mantengono un pay-out ratio basso (in rosa), sono in grado di overperformare consistentemente il mercato (in grigio lo S&P 500).


E' necessario concentrarsi su aziende di alta qualità, che hanno dimostrato una lunga storia di stabilità, crescita e redditività. Il consiglio è quello di investire solo in aziende che hanno pagato i dividendi ogni anno negli ultimi 25 anni senza una singola riduzione.
I titoli azionari che hanno una lunga storia di crescita costante dei dividendi (negli ultimi 25 anni o più) sono chiamati Dividend Aristocrats (dividendi aristocratici, o aristocratici dei dividendi) e hanno storicamente overperformato lo S&P 500 del 2,8% annuo:




2) Prezzo scontato;
Nel Value Investing (vedi Il mio approccio al Value Investing) il Dividend Yield (rendimento dei dividendi espresso in percentuale; ad esempio un dividend yield del 5% significa che la cedola corrisponde al 5% del prezzo d'acquisto del titolo) è uno dei valori più importanti a cui guardare per capire se il prezzo di un titolo è basso, sottovalutato e quindi scontato rispetto al valore intrinseco. Un alto Dividend Yield è quindi indice di un buon affare (a patto che l'azienda sia comunque di qualità). E' meglio che il Dividend Yield sia alto grazie ad una momentanea sottovalutazione del titolo piuttosto che a causa di un alto e insostenibile Pay-out Ratio.
Bisogna assolutamente evitare i titoli azionari che mostrano un rapporto Prezzo/Utili estremamente alto, in quanto è segno sopravvalutazione; le aziende con un basso rapporto Prezzo/Utili hanno overperformato le aziende con un alto rapporto Prezzo/Utili del 9,02% annuo dal 1975 al 2010.
Nel grafico sottostante possiamo vedere come le aziende che pagano alti dividendi (in verde acqua e arancione le aziende che pagano i dividendi più alti) hanno overperformato le aziende che pagano bassi dividendi (in blu e rosso le aziende che pagano i dividendi più bassi) dell'1,76% annuo dal 1928 al 2013:

Fonte: Kenneth R. French (marchio registrato) and CRSP.



3) Crescita;
E' necessario investire nelle aziende che hanno una storia di crescita solida e costante (in termini di utile e fatturato). Se un'azienda ha mantenuto un alto tasso di crescita per molti anni di seguito, molto probabilmente continuerà a fare lo stesso in futuro. I titoli azionari caratterizzati da una costante crescita dei dividendi sul lungo periodo hanno overperformato le aziende con dividendi invariati del 2,4% annuo dal 1972 al 2013; nel seguente grafico sono mostrate in viola le aziende i cui dividendi crescono costantemente sul lungo periodo, in blu le aziende che lasciano i dividendi invariati e in verde le aziende che non pagano dividendi:

Fonte: SureDividend

Un consiglio è quello di vendere le azioni che riducono o eliminano i dividendi: tali titoli hanno mediamente generato un rendimento dello 0% dal 1972 al 2013.
E' importante valutare il potenziale di crescita dell'azienda, la sua condizione finanziaria e redditività, la sua capacità di continuare ad espandersi e accrescere i dividendi; non acquistiamo azioni solo perché il dividendo è alto.



4) Volatilità;
Cerca aziende in cui solitamente le persone investono durante periodi negativi: la quotazione di tali aziende è solitamente più stabile e meno soggetta a variazioni eccessive. E' preferibile investire in titoli azionari che dimostrano bassa volatilità e un basso Beta.
L'indice S&P composto solo da titoli azionari estremamente poco volatili (lo S&P Low Volatility Index) ha overperformato lo S&P 500 del 2% annuo dal 1990 al 2011:


domenica 8 aprile 2018

Guida definitiva al calcolo del Discounted Cash Flow

Il valore intrinseco di qualsiasi azione, azienda o attività oggi è determinato da tutti i flussi di cassa - scontati ad un appropriato tasso di interesse - che ci si aspetta si verificheranno durante la rimanente vita dell'asset oggetto d'investimento. In altre parole, il valore intrinseco attuale è determinato da ciò che l'azienda può ragionevolmente e prevedibilmente guadagnare nel futuro. Il DCF si basa sul concetto di attualizzazione, in quanto ci permette di determinare il valore attuale dei flussi di cassa futuri; il valore intrinseco ricavato corrisponde al prezzo che dobbiamo pagare per ottenere un rendimento annuo pari al tasso di sconto applicato.
Il metodo classico per calcolare il valore intrinseco prevede di stimare i flussi di cassa attuali e futuri per un periodo di circa 10 anni da oggi. Successivamente sarà necessario determinare un tasso di sconto appropriato alla rischiosità dello strumento o azienda su cui stiamo investendo. Attraverso questi due elementi è possibile calcolare il valore attualizzato di tutti i futuri flussi di cassa. La formula classica prevede anche di utilizzare il cosiddetto valore terminale per poter gestire i flussi di cassa nel lontano futuro. Il valore terminale è calcolato assumendo che, dopo il decimo anno, i flussi di cassa continueranno a crescere ad un tasso costante, di solito pari a quello dell’economia nel suo complesso. Vediamo la formula del DCF:

La previsione dei flussi di cassa futuri si costruisce sul presupposto di un prestabilito tasso di crescita annuo. Ad esempio, se un'azienda X possiede un flusso di cassa annuo di 100000 dollari e prevediamo che esso crescerà del 10% annuo per i prossimi 10 anni, sarà necessario utilizzare una calcolatrice finanziaria per aggiungere tali rivalutazioni al valore attuale ed inserire i risultati ricavati al numeratore delle frazioni contenute nell'equazione soprastante. Il valore terminale andrà sostituito al numeratore dell'ultima frazione; esso si calcola nel seguente modo:

Terminal value = projected cash flow for final year (1 + long-term growth rate) / (discount rate - long-term growth rate)

Il tasso di sconto r coincide con il costo del capitale e nelle equazioni va espresso in decimali (es. 8% = 0,08). Quest'ultimo rappresenta l'interesse o rendimento che l'azienda deve garantire ai propri investitori (sia azionisti che obbligazionisti) per reperire i capitali di cui necessita. Ma come si calcola? Vediamo la formula e la corrispondente legenda:


Re = costo dell’Equity
Rd = costo del debito (tasso d’interesse che l’azienda corrisponde ai propri obbligazionisti)
E = valore di mercato dell’Equity
D = valore di mercato del Debito
V = E + D = somma del valore di mercato di Equity e Debito
E/V = percentuale del capitale che è Equity
D/V = percentuale del capitale che è Debito
Tc = aliquota fiscale sui profitti dell’azienda


Ora, il costo del debito è molto facile da reperire in quanto coincide semplicemente con il tasso d'interesse che l'azienda corrisponde ai propri obbligazionisti. Il costo dell'Equity prevede un approccio di calcolo più articolato, identificabile nella seguente equazione:

Cost of Equity = Risk-Free Rate of Return + Beta of Asset * (Expected Return of the Market - Risk-Free Rate of Return)

Il Risk-Free Rate of Return è costituito dal tasso di rendimento delle obbligazioni governative AAA. L'Expected Return of the Market è il tasso di rendimento annuo che ci si aspetta il mercato nel suo complesso potrà fornire in futuro sul lungo periodo.

L'obbiettivo del Value Investing è quello di individuare un titolo azionario assimilabile alla strategia Value, calcolarne il Valore Intrinseco ed acquistarlo solo se il margine di sicurezza, ossia lo sconto del prezzo d'acquisto rispetto al detto valore intrinseco, è pari ad almeno il 20-25%.

Ora facciamo un esempio di calcolo. Immaginiamo un titolo X quotato a 200 euro per azione. Il Free Cash Flow per azione è pari a 10 euro. Il tasso di crescita del Free Cash Flow è stimato al 10% annuo per i prossimi cinque anni. Il tasso di sconto o costo del capitale è pari all’8%. Consideriamo la formula del Discounted Cash Flow:


Al numeratore di ogni frazione è necessario inserire la previsione del Free Cash Flow. Applicando il tasso di crescita del 10% annuo all’attuale Free Cash Flow per azione (10 euro) otteniamo le seguenti previsioni, riferite a cinque anni nel futuro:
11 euro
12.10
13.31
14.64
15.99
Ora che abbiamo le nostre previsioni del futuro Free Cash Flow per azione, le inseriamo ai numeratori delle frazioni. Ai denominatori è necessario inserire la somma tra 1 ed il tasso di sconto; quest’ultimo non lo scriveremo nella forma “8”, bensì nella forma “0,08”, ossia in decimali.
1 + 0.08 = 1.08
Scriviamo il risultato ottenuto al denominatore di ogni frazione. Ora risolviamo le frazioni:
11/1.08 = 10.18
12.10/1.08 = 11.20
13.31/1.08 = 12.32
14.64/1.08 = 13.65
15.99/1.08 = 14.80
Ora è necessario inserire un’ultima frazione nell’equazione, ovvero quella al cui numeratore va messo il valore terminale. Quest’ultimo si calcola nel seguente modo:

Terminal value = projected cash flow for final year (1 + long-term growth rate) / (discount rate - long-term growth rate)

Ossia:
Terminal value = 15.99 (1 + 0.02) / (0.08 – 0.02) = 271.83

0.02 sta per il tasso di crescita del 2% che ci si aspetta si verificherà nel lontano futuro.

Ora è necessario inserire il valore terminale al numeratore dell’ultima frazione, mentre al denominatore digiteremo il solito 1.08. Calcoliamo il risultato:
271.83/1.08 = 251.69
Ora sommiamo i risultati di tutte le frazioni:
10.18 + 11.20 + 12.32 + 13.65 + 14.80 + 251.69 = 313.84

313.84 è il valore intrinseco. Se la quotazione di mercato è inferiore, l’investimento è vantaggioso; se è superiore, l’investimento è svantaggioso. 

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martedì 12 dicembre 2017

Che rendimento offrirà il mercato azionario nei prossimi 5 anni




Uno dei principi basilari dell'analisi fondamentale implica l'imprevedibilità del mercato azionario e delle sue fluttuazioni. Eppure, ciò non condiziona la nostra facoltà di effettuare delle stime sui rendimenti futuri. In questo articolo proverò a determinare che rendimento potrà ragionevolmente offrire il mercato azionario nei prossimi cinque anni.

Le nostre previsioni si basano sui fondamentali e sull'economia reale, in quanto questi fattori possono  evidentemente essere determinati con maggior precisione rispetto a quelli tipicamente usati in discipline prettamente speculative come l'analisi tecnica. Come avevo già affermato in questo articolo e in molti altri, sappiamo che le variabili che determinano il rendimento del mercato azionario sul lungo periodo sono tre:
  • Il rendimento dei dividendi
  • Il tasso di crescita del'utile per azione
  • Il cambiamento nel rapporto Prezzo/Utili
Questi tre fattori spiegano e determinano il rendimento del mercato azionario. I primi due costituiscono la componente fondamentale di tale performance, mentre il terzo è assimilabile alla componente speculativa, in quanto è principalmente condizionato dal sentimento che prevale tra gli investitori. Sappiamo anche che maggiore è l'orizzonte temporale, minore è l'impatto della componente speculativa sul rendimento finale, mentre su periodi di tempo medio-lunghi l'andamento delle quotazioni è determinato quasi esclusivamente dai fondamentali. In ogni caso, su periodi di cinque anni l'influenza esercitata dal sentimento è ancora considerevole.

Per effettuare le nostre stime prendiamo in considerazione l'intero S&P 500. Successivamente non dovremmo fare nient'altro che proiettare le tre variabili sopra elencate per un periodo di cinque anni nel futuro.

Per quanto riguarda il rendimento dei dividendi, la nostra stima consiste nel supporre che nei prossimi cinque anni esso rimarrà costante, ovvero uguale al valore attuale del 2% annuo.

La crescita dell'utile per azione (EPS) è un po più difficile da stimare e si basa sulle previsioni degli analisti. Quest'ultimi sostengono che nei prossimi cinque anni essa manterrà un valore pari al 12% annuo. Di conseguenza, per determinare a che livello si troverà l'utile per azione medio dello S&P 500 tra cinque anni, dobbiamo acquisire il dato attuale ed aggiungergli una crescita pari al 12% annuo. Attualmente l'EPS del suddetto indice è pari a 104,75 dollari. Se le previsioni di crescita degli analisti sono esatte, tra cinque anni esso sarà pari a 184,61 dollari.

Possiamo facilmente constatare che se moltiplichiamo l'attuale utile per azione dello S&P 500 (104,75$) per il rapporto Prezzo/Utili dello stesso indice (25,60), otteniamo un valore di 2681,6; quest'ultimo coincide con l'attuale livello dello S&P 500. Pertanto, se moltiplichiamo l'EPS che si verificherà tra cinque anni per il rapporto Prezzo/Utili che si verificherà tra cinque anni, otterremo il livello dello S&P 500 tra cinque anni.

Il rapporto Prezzo/Utili (P/E) dello S&P 500 cambia di anno in anno, ma tende comunque ad oscillare attorno ad una media storica pari a 17. Sappiamo che sul lungo periodo il P/E tende verso la media storica, pertanto possiamo supporre che tra cinque anni esso sarà pari a 17. Moltiplichiamo l'utile per azione previsto tra cinque anni (184,61$) per 17 ed otteniamo 3138,37. Quest'ultimo, se tutte le nostre supposizioni sono esatte, rappresenta il livello dello S&P 500 tra cinque anni. In base alla differenza rispetto al livello attuale, ciò implica una crescita pari al 3,2% medio annuo nel prossimo quinquennio, al quale bisogna aggiungere un dividendo pari al 2% annuo.

Pertanto, se tutte le stime sono esatte, nei prossimi cinque anni lo S&P 500 dovrebbe fornire un rendimento pari al 5,2% annuo.

Ora però facciamo un passo indietro. Abbiamo detto che la variazione nel rapporto Prezzo/Utili costituisce la componente speculativa in quanto è perlopiù determinata dal sentimento prevalente tra gli investitori. In realtà non è del tutto vero. I fattori che più condizionano il P/E sono due: inflazione e tassi d'interesse. Entrambi questi elementi sono negativamente correlati con il rapporto Prezzo/Utili.
Ad esempio, se i tassi d'interesse crescono, cresce anche il rendimento offerto dalle obbligazioni AAA; di conseguenza, sempre più investitori vedranno nelle obbligazioni un investimento più vantaggioso delle azioni. I capitali si sposteranno dal mercato azionario a quello obbligazionario, determinando una discesa del primo. Se invece i tassi d'interesse declinano succederà il contrario, con conseguente crescita delle azioni. Possiamo osservare questa realtà nel seguente grafico.


E' evidente che a tassi d'interesse (sulla colonna sinistra) elevati corrispondono rapporti Prezzo/Utili  (sull'asse orizzontale) molto bassi, mentre a tassi d'interesse molto bassi corrispondono rapporti Prezzo/Utili elevati. Ogni punto azzurro rappresenta un anno.

Allo stesso modo, una crescita dell'inflazione determina una perdita di valore nell'utile per azione previsto, con conseguente declino del P/E. Se l'inflazione scende si avrà l'effetto opposto. Osserviamo come nel seguente grafico.


In questo caso la correlazione inversa è ancora più forte. Tassi d'inflazione (sull'asse orizzontale) molto bassi implicano un alto rapporto Prezzo/Utili e viceversa.

Possiamo utilizzare queste nuove informazioni per determinare in modo più preciso a che livello potrà trovarsi il rapporto Prezzo/Utili dello S&P 500 tra cinque anni. Per fare ciò ci basiamo sulle previsioni di tassi d'interesse ed inflazione. Gli economisti sono concordi nel dire che tra cinque anni l'inflazione statunitense sarà pari al 2%, mentre i tassi d'interesse dovrebbero attestarsi al 3%. Quest'ultimo valore corrisponde all'obbiettivo dichiarato dalla Federal Reserve, pertanto esso sarà superato esclusivamente in caso di un'improbabile impennata dell'inflazione. Dalla regressione lineare (linea verde) dell'ultimo grafico possiamo notare che un'inflazione al 2% è mediamente accompagnata da un rapporto Prezzo/Utili di 20. Allo stesso modo, un tasso d'interesse del 3% implica un P/E compreso tra 20 e 25. Effettuiamo una stima conservativa e supponiamo che tra cinque anni il rapporto Prezzo/Utili dello S&P 500 sarà di 20.

Ora dovremmo moltiplicare l'utile per azione previsto tra cinque anni non più per l'iniziale 17, bensì per 20. Il risultato è di 3692,2; questo nuovo valore è più alto della nostra prima stima. Se tra cinque anni lo S&P 500 sarà effettivamente pari a 3692,2, ciò implicherà un rendimento pari al 6,61% medio annuo. Aggiungiamo i dividendi ed otteniamo un ottimo 8,61% medio annuo.

E' evidente che le nostre stime possono essere soggette ad ampi errori. Esse hanno possibilità di verificarsi esclusivamente nel caso in cui ogni previsione che abbiamo effettuato si riveli veritiera. Ora vediamo un altro grafico.


Sull'asse orizzontale possiamo osservare l'iniziale rapporto tra prezzo ed utili previsti. Tale rapporto è attualmente pari a 18. Sull'asse verticale è presente il tasso di rendimento. I quadratini blu indicano il rendimento medio annuo nominale che il mercato azionario ha fornito nei sette anni successivi alla manifestazione del rapporto tra prezzo ed utili previsti presente sull'asse orizzontale. Ad esempio, ogni qualvolta tale rapporto è stato pari a 18 (proprio come ora) il rendimento offerto dal mercato nei sette anni successivi è stato mediamente pari a circa il 5%. E' un valore evidentemente molto vicino alla nostra prima stima.


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domenica 1 ottobre 2017

4 portafogli d'investimento con basso rischio ed alto rendimento


Il tema principale dei miei precedenti articoli ha perlopiù riguardato la strategia da applicare per individuare i titoli azionari più promettenti. Tuttavia, la modalità di scelta dei titoli azionari non è l'unico elemento importante: il nostro portafoglio d'investimento necessita di una struttura ben studiata per poter generare una performance adatta alle nostre necessità.
In questo articolo presenterò quattro portafogli d'investimento "modello" che hanno storicamente dimostrato di  saper fornire un ottimo compromesso tra rischio e rendimento.

1) 60/40
Questo è il classico portafoglio composto al 60% di titoli azionari e al 40% di titoli obbligazionari. Nonostante la sua semplicità, o meglio grazie ad essa, il 60/40 risulta spesso imbattibile sul lungo periodo. Un'allocazione di questo tipo composta da titoli (sia azionari che obbligazionari) statunitensi, tra il 1926 ed il 1997 avrebbe subito un rendimento negativo solo 16 anni su 71. Tra il 1930 ed il 1932 (durante la Grande Depressione) tale portafoglio avrebbe perso il 30% del proprio valore, contro una perdita del 61% subita dal solo mercato azionario; tra il 1971 ed il 1974 avrebbe perso il 21% del proprio valore, contro una perdita del 37% subito dal solo mercato azionario. Sempre tra il 1926 ed il 1997, la perdita media subita durante un singolo anno di crisi sarebbe stato pari all'8.2%, contro il 12.3% del solo mercato azionario. Un portafoglio 60/40 avrebbe reso il 12% annuo tra il 1971 ed il 1997, contro il 13% messo a segno dal solo mercato azionario.


2) Il portafoglio di David Swensen
David Swensen investe denaro per conto dell'università di Yale, per la quale ha prodotto un rendimento del 14% annuo negli ultimi 20 anni. Piuttosto di investire solo in azioni e obbligazioni, egli ha proposto di distribuire il proprio portafoglio su una maggior quantità di strumenti. Qui di seguito elenco la struttura proposta da Swensen:
  • Titoli azionari statunitensi: 30% del portafoglio.
  • Titoli azionari internazionali (non statunitensi) appartenenti ad economie avanzate (europa occidentale, Canada, Australia, Giappone, ecc.): 15% del portafoglio.
  • Titoli azionari appartenenti ad economie emergenti (Cina, Corea del Sud, Taiwan, India, Brasile, ecc.): 10% del portafoglio.
  • Titoli di Stato statunitensi: 30% del portafoglio.
  • REIT (Real Estate Investment Trust): 15% del portafoglio.
Swensen sostiene la necessità di tagliare il più possibile le commissioni degli strumenti in cui investiamo. Per tale motivo egli suggerisce di investire in fondi Indicizzati o ETF; per ognuna delle categorie sopra elencate sono disponibili adeguati fondi indicizzati.
Swensen suggerisce anche di adeguare il proprio portafoglio a due fattori: tolleranza al rischio ed età. Un'età avanzata ed una conseguentemente bassa tolleranza al rischio introduce la necessità di abbassare la percentuale del portafoglio da destinare alle azioni, aumentando la fetta riservata alle obbligazioni.


3) Il portafoglio di Gretchen Tai.
Gretchen Tai si occupa di gestire i fondi pensione dei dipendenti di Hewelett-Packard (HP). Anche Tai sostiene la necessità di mantenere le commissioni dei prodotti che inseriamo nel nostro portafoglio al di sotto dello 0,5%. Tale obbiettivo può essere raggiunto mediante fondi indicizzati o ETF. Di seguito elenco la struttura proposta da Tai:
  • Titoli azionari statunitensi ad alta capitalizzazione: 26% del portafoglio.
  • Titoli azionari internazionali (non statunitensi) appartenenti ad economie avanzate: 26% del portafoglio.
  • Titoli azionari appartenenti ad economie emergenti: 10% del portafoglio.
  • Titoli azionari statunitensi a bassa capitalizzazione: 3% del portafoglio.
  • Obbligazioni (sia titoli di stato che obbligazioni societarie) di alta qualità: 10% del portafoglio.
  • Obbligazioni ad alto rendimento: 8% del portafoglio.
  • Obbligazioni protette dall'inflazione: 8% del portafoglio.
  • Obbligazioni con scadenza a lungo periodo (come i titoli di stato a 30 anni): 4% del portafoglio.
  • REIT (Real Estate Investment Trust). 5% del portafoglio.
Anche secondo Tai è necessario adeguare il portafoglio al proprio profilo di rischio, abbassando la fetta riservata alle azioni se necessario.


4) Il portafoglio di Jack Bogle.
Jack Bogle è il fondatore di Vanguard Group, una delle più grandi società d'investimento al mondo. Egli è l'ideatore dei fondi indicizzati; sono infatti quest'ultimi a costituire il portafoglio di Bogle. Egli propone una semplice formula: sottrai la tua età dal numero 100 ed avrai la percentuale del portafoglio che devi destinare alle azioni. Alle obbligazioni sarà invece riservata una percentuale pari alla tua età. Per fare un esempio, supponiamo che tu abbia 40 anni: il 60% (100 meno 40 uguale 60) del portafoglio sarà destinato alle azioni. La restante parte (40%, ovvero la tua età) sarà destinata alle obbligazioni. Bogle suggerisce di acquistare un fondo indicizzato composto da tutti i titoli azionari del mercato americano. Per quanto riguarda le obbligazioni, si può scegliere tra i soli titoli di stato oppure un fondo indicizzato che comprenda tutti i titoli di debito del mercato.